mercoledì 27 gennaio 2010

RICORDARE...PER NON DIMENTICARE.. PER NON RIPETERE GLI ORRORI DELLA STORIA




"Considerate se questo è un uomo

Che lavora nel fango

Che non conosce pace

Che lotta per mezzo pane

Che muore per un sì o per un no"

[Primo Levi]


lunedì 18 gennaio 2010

SOS..teniamo il Mondo






Dobbiamo essere il cambiamento che vogliamo vedere nel Mondo!

sabato 9 gennaio 2010

Storia delle Cose (1)


Il PIL non tiene conto della salute delle nostre famiglie, della qualità della loro educazione o della gioia dei loro momenti di svago. Non comprende la bellezza della nostra poesia, la solidità dei valori familiari, l'intelligenza del nostro dibattere.

Il PIL non misura né la nostra arguzia né il nostro coraggio, né la nostra saggezza né la nostra conoscenza, né la nostra compassione né la devozione al nostro paese.

ROBERT KENNEDY


mercoledì 6 gennaio 2010

Craxi - Il più grande illusionista del '900


È riuscito a far sparire la fine del secolo, come i miliardi dalle banche: l’Italia è ancora negli anni Ottanta

di Antonio Tabucchi

Dieci anni fa moriva Bettino Craxi nella sua residenza tunisina. Fuggiasco, con due mandati di cattura sul capo e due condanne definitive a dieci anni per corruzione e finanziamento illecito: miliardi di lire imboscati in conti esteri. Oggi i suoi fan lo commemorano: ogni categoria ha il suo santo patrono. Il Pride ideato dalla signora sindaco di Milano partirà da quella città diretto al Senato della Repubblica. E intanto giungono i "messaggi".

Il ministro Frattini dichiara che si deve "lasciare ai professionisti delle manette la prospettiva di seminare odio e inimicizia". Dove per "professionisti delle manette" altro non si può intendere che le forze dell’ordine (carabinieri, polizia, guardia di finanza) cui lo Stato affida il compito di arrestare i professionisti del crimine. Ma se arrestare criminali pare sconveniente al ministro, è strano che faccia sapere al presidente della Repubblica che nella sua prossima visita ufficiale in alcuni paesi africani non potrà esimersi dal fare una deviazione in Tunisia per sostare in raccoglimento sulla tomba di Craxi.

Non si capisce perché un nostro ministro in carica si rechi in un paese come la Tunisia che il Consiglio d’Europa ha più volte censurato per le torture e le feroci repressioni del dittatore Ben Ali.

Altri messaggi provengono da Gianni De Michelis, già pluricondannato per corruzione (tangenti autostradali nel Veneto e scandalo Enimont), con pene sospese con la condizionale. In America un rottamato del governo Nixon non scriverebbe neppure su un giornalino dello Iowa. In Italia De Michelis merita l’attenzione della grande stampa. Cito: "La stragrande maggioranza degli italiani riconosce il ruolo politico di Craxi, cioè del più grande statista della fine del Ventesimo secolo. Grillo,Travaglio, Di Pietro rappresentano una minoranza molto esigua che esiste in tutte le società del mondo". (Repubblica, 31/12/09). Non si capisce bene con quali motivazioni De Michelis affermi che le persone da lui indicate esprimano una minoranza.

È esattamente il contrario. Nonostante la sua frequentazione delle aule di giustizia, si è dimenticato che i tribunali della Repubblica pronunciano le sentenze in nome del popolo italiano. Ma se vuole una revisione del processo a Craxi può portare le prove.

Ma a De Michelis interessano soprattutto gli statisti. Si veda la sua opera, purtroppo l’unica finora pubblicata, Dove andiamo a ballare stasera? Guida a 250 discoteche italiane, Mondadori 1988, un esemplare trattato per diventare statisti, politici e ministri. Craxi ne fu entusiasta e la preferì al socialismo liberale di Norberto Bobbio, un filosofo che gli pareva troppo scomodo e che definì fuori di testa. Forse De Michelis voleva dire un grande statistico: e infatti Craxi i 150 miliardi di introiti illeciti li suddivise con un fine senso della statistica in conti personali sparsi fra Svizzera, Liechtenstein, Caraibi ed estremo oriente, e nel ‘98, quando la Cassazione ne dispose il sequestro, i soldi erano spariti.

Ma finalmente De Michelis esplicita i tre motivi per cui lo considera un grande statista: "Penso a come prese di petto la vicenda di Sigonella. Penso al viaggio sulla tomba di Allende nel Cile di Pinochet: in quel cimitero gli prudevano davvero le mani. Penso ai soldi dati ai movimenti di liberazione, senza andare troppo per il sottile, come fu per l’Olp di Arafat” (Repubblica, cit.).

La vicenda di Sigonella Craxi la prese di petto, eccome. Il signor Leon Klinghoffer, l’ebreo americano in carrozzella che i terroristi buttarono a mare, la prese in un altro modo. Il fatto è che per la prima volta nel dopoguerra Craxi impose alla comunità internazionale l’idea che un atto di terrorismo possa essere considerato lecito. Quanto al prurito alle mani in Cile, resta il mistero. Gli durò a lungo? Come se lo fece passare? Su un evento biografico così importante De Michelis purtroppo tace.

E infine i soldi che elargiva all’Olp di Arafat "senza andare troppo per il sottile". Viene spontanea una domanda: ma chi glielo aveva ordinato, a Bettino Craxi, di dare soldi sottobanco all’Olp di Arafat? Se fossero stati soldi di famiglia sarebbe solo un problema politico, ma dato che erano soldi di tangenti, cioè denaro sporco, la faccenda si complica. E poi: il grande statista lo sapeva che anche Arafat, i soldi, invece di usarli per la sua organizzazione li imboscava come lui su conti personali in Svizzera e in Francia?

Ma De Michelis dimentica le imprese che fanno del Nostro uno statista sui generis: per esempio la sua amicizia con Siad Barre, un sanguinario dittatore che con un colpo di Stato, dopo aver fatto fucilare intellettuali, giornalisti e oppositori, aveva instaurato dal 1969 una feroce dittatura in Somalia e che ricevette da Craxi montagne di denaro. Era la cosiddetta "cooperazione italiana". Per il solo quadriennio 1981-84, Craxi stanziò per la dittatura di Barre 310 miliardi di lire. Tralascio le armi italiane alla Somalia, oltre agli aiuti "tecnici" e le magnifiche autostrade costruite nel deserto.

Del grande statista il suo devoto dimentica poi la legge Mammì, la revisione del Concordato del 1984 con l’attribuzione dell’8 per mille alla Chiesa, il debito pubblico che da 400 mila passò a 1 milione di miliardi di lire, l’Alfa Romeo regalata alla Fiat e sottratta alla Ford che l’avrebbe pagata, le amicizie con Licio Gelli, le parole di sostegno ai generali argentini contro la Gran Bretagna durante la crisi delle Falkland. E infine la Tunisia.

Craxi la scelse come punto di fuga nel 1994. In quel paese dal 1987, con un colpo di Stato sostenuto dal nostro Sismi, aveva preso il potere un certo Zine El-Abidine Ben Ali, instaurando un regime di terrore dove sparizioni, omicidi e torture erano all’ordine del giorno. Evidentemente a Craxi piaceva, non gli prudevano le mani. Ben Ali, si noti, è "presidente" della Tunisia da 21 anni, perché "ama il suo popolo e ne è riamato", come dice la sua propaganda.

Il devoto del grande statista conclude con un messaggino al presidente della Repubblica: "Alle elezioni del ’92 cominciammo ad ospitare nelle liste del Psi alcuni miglioristi: Borghini, Minopoli, Francese. Altri, più vicini a Napolitano, saltarono solo per un’esitazione dell’ultimo secondo. Poi, venne Mani Pulite (…) Non gli tiro la giacca, il capo dello Stato sa cosa fare. Avrà un grande ruolo, perché Bettino offre a tutti una grande occasione…". Bettino offre a tutti una grande occasione. Meglio girar la testa dall’altra parte e fare finta di non avere sentito.

Ma c’è una cosa che De Michelis non può dire, ed è una cosa che fa di Craxi a suo modo un "grande". Non certo il più grande statista della fine del secolo, ma il più grande illusionista della fine del secolo. Perché Craxi, con l’aiuto dei suoi fidi, la fine del secolo è riuscito a farla sparire, come i miliardi dalle banche. Non ha imboscato solo i soldi delle tangenti, ha imboscato anche il Tempo. Dove abbia nascosto la fine del secolo, in quale remoto conto off-shore o in quale Buco Nero dell’universo non si sa, ma è sparita.

Il Novecento è finito e il nuovo secolo (anzi il nuovo millennio) si è portato via il vecchio, con la sua storia e i suoi detriti, che in occidente sono volati via dappertutto, in America come in Europa. Meno che in Italia, che probabilmente non appartiene all’Europa. Gli italiani non sono nel Duemila, sono ancora nel millennio scorso: ci sono ancora i comunisti (lo dice Berlusconi), c’è ancora ilSillabo, ci sono ancora i Servizi deviati, c’è ancora la mafia che lavora coi politici e i politici che lavorano con la mafia, c’è ancora il conflitto d’interessi, c’è ancora senza esserci l’Alitalia, c’è ancora Porta a Porta, c’è ancora D’Alema e soprattutto c’è ancora Bettino Craxi, e dunque c’è Berlusconi.

Voi siete (noi siamo) ancora negli anni Ottanta, cari connazionali, quando c’era la Democrazia cristiana, la P2, la Milano da bere e De Michelis componeva la sua fondamentale opera sulle discoteche italiane. È la notte dei morti viventi. E per fortuna siamo agli anni Ottanta, perché se va avanti (anzi indietro) così, domani potremmo leggere sui giornali: "Individuati i responsabili della bomba al tribunale o alla questura tal dei tali. Si chiamano Pietro Valpedra e Giuseppe Pinelli".

Una strada intitolata a Craxi? Ma che gli diano pure un vialone. Purché l’eventuale via che Ilaria Alpi meriterebbe ne sia a debita distanza. Dove andiamo a ballare stasera? Ma al Senato, tesoro.

NO ALL'INTITOLAZIONE DI UNA VIA A BETTINO CRAXI


Quando Bettino si beveva la città
Superattici, cene e belle donne: gli anni ruggenti dei socialisti a Milano
La svolta del Psi: dalla sobrietà antica di Nenni all’ostentazione del potere

MICHELE BRAMBILLA
MILANO

Basilio Rizzo, della Lista Fo, è ormai rimasto uno dei pochi politici a dire, senza timore di apparire spietato, che Milano a Craxi non deve dedicare alcunché. E non tanto per la corruzione che - Craxi regnante - prosperò, e che Rizzo - consigliere comunale dal 1983 - già da allora denunciò. Quanto perché «dopo di lui la parola socialismo non è più identificata con le lotte dei lavoratori ma con una stagione di pacchiana grandeur». Con lui il socialismo si identifica con quella “Milano da bere” che era sinonimo di soldi da spendere - spiega Rizzo - Craxi ha tradito non solo la storia del Psi ma anche i comportamenti dei suoi militanti, il loro stile di vita. Con lui i socialisti hanno subìto una mutazione antropologica: dalla sobrietà di un Nenni all’ostentazione del lusso e del potere».

«Milano da bere» era un fortunato spot pubblicitario della Ramazzotti, datato 1987. Voleva indicare una città gioiosa, ottimista, desiderosa di uscire dalle nebbie, le luci gialle, i cortei e le violenze dei cupi anni Settanta. Finalmente tornava la vita, la voglia di divertirsi, di produrre, di consumare e di crescere. Fecero anche dei film, su quel tempo da Bengodi, come Sotto il vestito niente e Via Montenapoleone di Carlo Vanzina. Soldi, champagne, moda, modelle, sesso. Ma fu vera gloria? L’ideatore di quello spot, Marco Mignani, mai avrebbe immaginato che cinque anni dopo la «Milano da bere» sarebbe stata chiamata «Tangentopoli», un neologismo inventato all’epoca dell’inchiesta Mani Pulite. «A bere Milano - ha scritto Massimo Fini - erano solo i socialisti».

Il Psi governava la città dal primo dopoguerra. Ma fu negli anni Ottanta che si verificò, sotto la guida di Craxi, la fortunata congiunzione astrale che consentì al Psi di trovarsi sempre dalla parte di chi governa: a Roma con la Dc e a Milano con il Pci. Senza più intralci, il partito abbandonò la falce e martello per il garofano, la vocazione operaista per quella modernizzatrice e borghese. Enzo Biagi capì che la «mutazione antropologica» era in corso già nel 1983, quando Craxi diventò presidente del Consiglio: «È l’ora di Craxi: di sicuro, di strada ne è stata fatta dagli scamiciati di Pelizza da Volpedo alle cravatte Regimental della giovane guardia Psi». A Milano ricordano una battuta che testimonia quel cambiamento. Viene attribuita a Matteo Carriera, un ex autista del sindaco Carlo Tognoli che diventò presidente dell’Eca Ipab, uno degli storici istituti di assistenza milanesi: «Ora non mangio più alla mensa ma al ristorante».

E la «Milano da bere» socialista aveva i suoi, di ristoranti, quasi tutti concentrati fra Brera e la confinante zona-Corriere. Il Matarel di via Mantegazza Solera, la Trattoria dell’Angolo in via Fiori Chiari, il Garibaldi di via Monte Grappa. Era la zona dove già negli anni Sessanta si radunavano i socialisti di «fascia alta», intellettuali e imprenditori: al bar Jamaica di via Brera, storico locale degli artisti, e al club Turati del giovane Carlo Ripa di Meana. Ma negli Anni Ottanta l’egemonia sulla città diventò totale. Con Craxi regnante, al tempo dei grandi congressi con le scenografie dell’architetto Filippo Panseca, il Psi godeva dell’appoggio di tutti quelli che a Milano contavano. Del mondo della moda: Nicola Trussardi («Facevo l’imprenditore a Milano e a Milano governavano i socialisti, gli interlocutori erano loro», dirà in un’intervista del 1993, in piena Mani Pulite), Santo Versace, Krizia. Del mondo della cultura e della scienza: per intenderci, da Giorgio Strehler a Umberto Veronesi; dal Paolo Grassi del Piccolo alla Scala e alla Rai. Del mondo dello spettacolo: da Milva a Caterina Caselli a Ornella Vanoni. «Ridateci il ciccione - ha detto la Vanoni in un’intervista a La Stampa nel 2007 - che ci ha fatto vivere gli anni Ottanta come se fossimo ricchi e felici».

La dolce vita si rifletteva nei comportamenti privati di politici e professionisti non proprio conformi allo stile di un tradizionale «compagno». Come l’assessore Walter Armanini, che condannato in via definitiva riparò all’estero con la modella Demetra Hampton (dalle canoniche misure: 90-60-90), l’attrice che interpretò sugli schermi la Valentina di Crepax e che lui, Armanini, chiamava «scimmietta». O come l’architetto Silvano Larini, raffinato bon vivant che per i magistrati era il grande raccoglitore di tangenti. Quando, al processo Cusani, Di Pietro gli chiese in quale orario si svolse una certa cena-con-mazzetta, Larini rispose: «Per me ora di cena è all’uscita dalla Scala». Dall’abitazione di via Foppa 5 al superattico di viale Coni Zugna (dove custodiva i cimeli garibaldini) all’ufficio di piazza Duomo 19, Craxi tutto dominava.

Fu solo un’orgia di potere, come dicono i detrattori? È probabile che no, non fu solo quello. Ma è ancora forte il ricordo di quando la «Milano da bere» si svegliò con le manette ai polsi di uno dei potenti socialisti del tempo, Mario Chiesa, beccato con le mani nelle banconote. «È solo un mariuolo», cercò di tagliere corto Craxi. Ma i tempi erano cambiati. Per una magistratura e una stampa che prima non sempre avevano voluto vedere; per quegli imprenditori che, stanchi di pagare, andarono in pellegrinaggio da Di Pietro; per un clima politico generale che stava cambiando, e forse ancor di più per un destino che è sempre lì a ricordarci che, per tutti, passa la scena di questo mondo.


lunedì 4 gennaio 2010

CENTRALI NUCLEARI & PIAN DI SPAGNA!



Produzione di
energia nucleare in Lombardia? Nel Comasco uno dei siti più appetibili, in tal caso, rischia di rivelarsi il Pian di Spagna e, più in particolare, l’area prossima alla foce del fiume Adda, nel territorio di Gera Lario a due passi dalla Bassa Valle. Giuliano Zuccoli, presidente morbegnese di A2A, gruppo milanese azionista dell’ex municipalizzata comasca Acsm - Agam, ha annunciato l’interessamento ad operare nel campo del nucleare. La necessità di grandi riserve d’acqua fa pendere la bilancia, questo il timore dei residenti, proprio nella zona dell’Alto Lago. Semplice ipotesi, per ora, ma all’estremità nord del Lario qualcuno comincia a raddrizzare le antenne, se non altro perché una vasta area alla foce dell’Adda era già stata acquistata, negli anni ’60, dalla Selni, sigla che sta per società elettro-nucleare italiana. Si trattava di una società del gruppo Montedison, costituita appositamente proprio in seguito all’acquisto di 300 mila metri quadrati di piana verde nei pressi della foce dell’Adda: all’epoca, a dire il vero, si ventilava la costruzione di un impianto termoelettrico, ma in tanti erano pronti a scommettere che sarebbe sorto un impianto nucleare. «Chi ha avuto modo di salire su qualche altura da cui si può osservare il corso dell’Adda si sarà chiesto come mai sulla vasta area circostante al delta non siano mai sorte strutture turistico-ricettive - interviene Eugenio Nonini, presidente dell’associazione ambientalista Arare - quelle fertili terre, già appartenute nel Dopoguerra a una società elettro-nucleare e in seguito rivendute, hanno mantenuto una vocazione rurale a dispetto di varie richieste di sfruttamento turistico e allora, dinanzi alla riproposta del nucleare nel nostro Paese, c’è da stare poco tranquilli».
La zona alla foce dell’Adda, secondo Nonini, risulterebbe appetibile per molteplici aspetti: «La bassa densità di popolazione, l’abbondante disponibilità d’acqua, essenziale per il funzionamento di una centrale nucleare, l’elevata presenza di linee elettriche ad alta tensione e, non ultimo, la vicinanza di un importante giacimento di uranio, quello della Val Vedello, rendono il Pian di Spagna un luogo a dir poco adatto ad ospitare una centrale e, in cambio di una contropartita allettante, anche l’ultima oasi esistente potrebbe essere svenduta e irrimediabilmente compromessa, in barba ai vincili naturalistici esistenti». Dinanzi all’ipotesi del nucleare, la presidente regionale dei Verdi, Elisabetta Patelli, si è opposta fermamente a progetti in Lombardia chiedendosi, al di là di ogni altra considerazione, dove si possa trovare, in una regione così densamente abitata, un sito adatto ad ospitare una centrale: «Il delta dell’Adda rischia di diventare l’unico sito ad hoc - ribadisce con preoccupazione Nonini - . Rivolgo pertanto un appello accorato a tutti coloro che hanno a cuore l’ambiente e alla stessa Elisabetta Patelli, affinché vigilino il Pian di Spagna».
Tra gli amministratori locali in carica, Lauro Riva, considerata la lunga milizia, è senza dubbio quello che meglio ricorda i fatti del passato, anche in merito alla vasta piana verde prossima alla foce dell’Adda: «Quei terreni, appartenenti all’epoca a piccoli proprietari, negli anni ’60 vennero acquistati dalla Selni, società costituita appositamente da Montedison per realizzare un impianto termoelettrico - di quello, almeno, si parlava - in Alto Lario.
Il progetto non venne poi concretizzato e negli anni ’70 l’intera area, di 300 mila metri quadri, passò a una grossa società immobiliare, LV2, interessata a costruirvi un grande villaggio turistico - ecologico che avrebbe probabilmente fatto la fortuna di Gera e del territorio. Venne redatto il progetto e furono concordate anche le convenzioni: la società si impegnava a cedere la proprietà dei terreni alla comunità montana, garantendosi il diritto di superficie per 99 anni». Anche questo progetto non andò in porto e la proprietà delle aree è rimasta della LV2, che col tempo ha cambiato varie denominazioni.
«A distanza di cinquant’anni curiosamente alla foce dell’Adda si torna a parlare di nucleare - commenta Riva - . Noi siamo svizzeri al rovescio: anche loro fanno referendum, ma non sulle centrali nucleari come abbiamo fatto noi, votando contro e pagando poi a caro prezzo l’energia alla Francia, con le centrali a ridosso dei nostri confini. Chernobyl continua a farci paura, ma in realtà le centrali di nuova generazione sono super-sicure (?????) e darebbero anche lavoro a molte persone (????). Sull’ipotesi di centrale alla foce dell’Adda, tuttavia, nutro anch’io qualche perplessità: siamo all’interno della riserva naturale Pian di Spagna e non occorre essere ambientalisti per ravvisare qualche incompatibilità».
Per ora quindi l’ipotesi non riscuote i favori della gente e gli ambientalisti si stanno muovendo in anticipo, per cercare di arginare possibili sviluppi.

(www.laprovinciadisondrio.it)

Save the Planet!

sabato 2 gennaio 2010


Per fare buona politica non c'è bisogno di grandi uomini, ma basta che ci siano persone oneste, che sappiano fare modestamente il loro mestiere. Sono necessarie: la buona fede, la serietà e l'impegno morale. In politica, la sincerità e la coerenza, che a prima vista possono sembrare ingenuità, finiscono alla lunga con l'essere un buon affare.


Piero Calamandrei